“Come superare stereotipi e pregiudizi in un ambiente connotato religiosamente.” Martina Morandi parte da Maranello e Casinalbo

Martina, 21 anni, prossima alla laurea di Scienze dell’Educazione presso il Dipartimento di Reggio Emilia, ha scelto i Get di Casinalbo e Maranello come osservatorio privilegiato per riflettere, interrogarsi e tentare di dare direzioni di senso per il suo delicato, ma significativo argomento per la tesi di laurea.
Leggendo la tesi di Martina, appare evidente come il suo lavoro parta da un quesito tanto semplice quanto insidioso, ovvero: qual è la relazione che interseca la religiosità del singolo al pregiudizio?
Sappiamo essere un tema delicato e ricco di sfaccettature: ognuno di noi ha il proprio punto di vista, il proprio concetto e sguardo rispetto alla religiosità e più o meno consciamente incasella ciò che osserva, conosce e vive in categorie. Riconoscendo e accettando l’assunto tale per cui tutti noi siamo vittime e fautori di pregiudizi, riteniamo prezioso il lavoro di Martina perché, attraverso l’analisi delle risposte ottenute dai questionari somministrati ai genitori, ci permette di conoscere come le nostre realtà vivano la connotazione religiosa dei nostri Gruppi Educativi Territoriali (GeT).
Due gruppi omogenei (genitori mussulmani e genitori cristiani), due strumenti di indagine ad hoc, quesiti volti ad indagare il livello di contaminazione reciproca, di pregiudizio, di incontro, di crescita, di percezione di minaccia; sono questi gli ingredienti fondamentali utilizzati da Martina, i quali le hanno permesso di concludere il lavoro dal titolo:
“Come superare stereotipi e pregiudizi in un ambiente connotato religiosamente.
Il caso delle parrocchie di Casinalbo e Maranello”.
Le analisi effettuate alle risposte del questionario ci gratificano, nella misura in cui i livelli di minaccia e di pregiudizio sono inversamente proporzionali a quelli di incontro e crescita. Questi risultati non possono che gratificarci, tuttavia non possiamo limitarci a quanto già ottenuto, ma continuare a lavorare e progettarci partendo, anche dagli spunti che il lavoro di Martina ci ha offerto.
Alleghiamo il riassunto dettagliato prodotto direttamente da lei e cogliamo l’occasione per ringraziare Martina per aver scelto le nostre realtà, per averci permesso di condividere parte del suo lavoro e perché scorrendo le pagine ci siamo sentiti un po’ più sollevati e carichi per le prossime sfide che ci aspetteranno!

“La motivazione alla base della presente tesi era scoprire l’esistenza di un’eventuale correlazione tra religiosità e pregiudizio. L’idea è sorta in seguito alla mia esperienza di tirocinio formativo presso la parrocchia di Casinalbo, che offre un servizio socio-educativo, di assistenza e di accompagnamento nei compiti, per ragazzi dai 6 ai 14 anni. I ragazzi che usufruivano del servizio erano di diversa nazionalità e diverso credo, nonostante il contesto fosse connotato da una religiosità cristiana. Ciò che ho potuto osservare era una certa armonia nei rapporti tra i ragazzi cristiani e musulmani, che erano le due categorie religiose maggiormente rappresentate. L’impressione da me avuta mi ha portato a pensare che la religiosità, grazie ai suoi valori universali trasmessi, quali pace, rispetto e inclusività, potesse favorire un atteggiamento di apertura nei confronti della diversità. Ho inoltre pensato che all’interno di un ambiente aperto, proprio perchè connotato in senso religioso e offrente la possibilità di esprimere liberamente il proprio credo, la religione potesse stimolare un atteggiamento di accettazione dell’altro, che potesse essere il fattore incentivante il superamento di stereotipi e pregiudizi, che fosse l’elemento propulsore della nascita del desiderio di conoscere la diversità e di scoprire culture ed etnie differenti dalle proprie, in quanto essa trasmette valori universali, comuni a tutte le religioni. Facendo infatti esperienza della condivisione di valori importanti, i soggetti appartenenti ai due diversi gruppi religiosi avrebbero potuto rendersi conto di essere molto più simili di quanto pensassero. Ho quindi voluto verificare in maniera empirica se le mie impressioni fossero reali o meno.

A tale scopo, ho somministrato un questionario ai genitori dei ragazzi, sia musulmani che cristiani, per verificare l’ipotesi di un basso pregiudizio tra le due categorie e l’idea che alla base della scelta di tale contesto educativo ci fosse la convinzione che la coesistenza e la convivenza di cristiani e musulmani nel medesimo contesto extrascolastico fossero positive per l’integrazione, la socializzazione e la crescita dei loro figli. La somministrazione dei questionari è avvenuta sia nella parrocchia di Casinalbo che in quella di Maranello, poichè similmente organizzate e caratterizzate da una forte presenza di ragazzi appartenenti alle due categorie che intendevo esaminare.

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Si è poi valutata l’esistenza di un rapporto tra i due gruppi in questione, la positività o la negatività del contatto tra musulmani e cristiani e quanto questi si sentissero parte di uno stesso gruppo. Il contatto tra i gruppi è risultato particolarmente alto, con positive conseguenze sulle relazioni tra gli appartenenti ai due gruppi: si è infatti rilevato un basso indice di contatto negativo. È anche vero che il risultato della misura dell’identità comune, ovvero la percezione dei soggetti appartenenti ai due gruppi di far parte di uno stesso gruppo, è risultata media, il che significa che non vi è un’ottima integrazione, ma è verosimile che, con ulteriori esperienze positive di contatto e richiedenti un maggior coinvolgimento personale, si possa arrivare ad una situazione in cui sia cristiani che musulmani si sentano parte di uno stesso gruppo, in funzione anche del fatto che entrambi i gruppi valutano il contatto con i membri dell’outgroup in maniera positiva. Per quanto riguarda il valore espresso dalla componente musulmana, esso può essere spiegato con il fatto che i gruppi minoritari, per non  essere completamente assimilati dalla cultura o religione dominante e perdere i propri valori, hanno bisogno di mantenere una certa distintività. Questo, in un primo momento, penso sia del tutto naturale e non del tutto controproducente, purchè, però, col tempo, si cerchi di creare una maggiore coesione con i membri dell’altro gruppo e di instaurare una relazione basata sul dialogo, sulla conoscenza reciproca e sul rispetto. Ciò può essere stimolato con il modello integrativo, proposto da Pettigrew, che prevede una prima fase di decategorizzazione, per poi, in una seconda fase rendere salienti le categorie sociali dei diversi individui, per poter così favorire la percezione di un’identità comune da parte di entrambi i gruppi.

Si è poi misurato il valore della minaccia, ovvero la minaccia percepita ai propri valori da parte dell’altro gruppo, il quale è risultato moderatamente basso, il che dimostra una buona integrazione e, probabilmente, una discreta conoscenza dei valori e della cultura dell’altro gruppo, conoscenza che può essere stata stimolata da un positivo interesse al dialogo con l’alterità e alla scoperta della diversità.

Alla fine della ricerca è risultato un valore neutro nella misura del pregiudizio esplicito, ma, al contempo, si è rilevato un pregiudizio sottile moderatamente alto. Questo è un tipo di pregiudizio

sicuramente più insidioso, sul quale si dovrebbe agire e che si dovrebbe tentare di superare e confutare per raggiungere una migliore e piena integrazione. Come detto prima, i contatti tra gli appartenenti ai due gruppi sono positivi, quindi con ulteriori esperienze positive di un rapporto di conoscenza più profonda, è verosimile che i soggetti riconoscano i propri pregiudizi, che li possano confutare e quindi superare.

In generale, quindi, dai risultati ottenuti tramite la codifica delle risposte ai questionari, si è evinto che l’ambiente delle parrocchie di Casinalbo e Maranello è caratterizzato da una buona integrazione e un valore di pregiudizio non troppo elevato. I risultati sembrano quindi supportare l’ipotesi iniziale di un contesto contrassegnato da una certa armonia nelle relazioni tra cristiani e musulmani. I soggetti di entrambi i gruppi si sono impegnati ad instaurare un rapporto con i ragazzi di diverso credo e, da come si può notare dai risultati, non l’hanno fatto per costrizione, o se così fosse stato in un primo momento, successivamente è subentrata una personale volontà di continuare e approfondire il rapporto. Penso sia una ricchezza avere sul territorio contesti che stimolino fin da subito, o comunque nel periodo più importante per la socializzazione e la formazione delle prime relazioni stabili con coetanei e adulti, un confronto e un dialogo tra due categorie che, nel complesso della società, faticano a convivere e si discriminano l’un l’altro. Questo può sicuramente avere ripercussioni positive sugli atteggiamenti dei ragazzi e sulla prevenzione e il superamento dei pregiudizi. L’auspicio è che questo percorso di integrazione possa proseguire, con un’attenta progettazione alla base di attività e compiti di collaborazione, per una continua scoperta dell’ “altro” e un costante miglioramento dell’accettazione della diversità e di una profonda interazione tra i due gruppi, senza escludere un’estensione di tale modello anche in altre realtà del nostro territorio.

La ricerca effettuata ha preso in considerazione un campione limitato rispetto all’ampia realtà dei servizi offerti dalla Cooperativa Sociale Don Bosco & Co., che mette a disposizione dei ragazzi diverse strutture, distribuite su tutto il territorio del Distretto di Sassuolo. La ricerca avrebbe quindi potuto essere maggiormente comprensiva, in funzione anche della simile organizzazione e progettazione alla base di tutti i servizi offerti. La presente tesi si è inoltre concentrata sulla valutazione del rapporto tra cristiani e musulmani, focalizzandosi su due religiosità specifiche, poiché erano quelle maggiormente rappresentate; all’interno del servizio vi sono però anche casi di categorie religiose differenti.

Un auspicio è che tutte le realtà della Cooperativa siano caratterizzate da una tale buona integrazione e un basso livello di pregiudizio, non solo tra cristiani e musulmani, ma comprensiva di tutte le categorie religiose e non rappresentate; che tale relazione positiva si instauri non solo con

i particolari soggetti presenti nel contesto, ma anche verso tutti gli altri soggetti appartenenti a quelle ed altre categorie, generalizzando le positive valutazioni anche a chi non si è conosciuto e che si avrà o meno modo di conoscere nella propria quotidianità. Infine, è auspicabile che in tutte le realtà socio-educative, contesti extrascolastici, ma non solo, vi siano progetti e attività alla base che stimolino una tale inclusività, un’apertura al dialogo e al rispetto della diversità.”

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